GROTTAMMARE - Sabato 22 gennaio presso il teatro dell'Arancio.
Selezionare versi e brani di Pier Paolo Pasolini che, estratti da quadri complessi, ne restituiscano la voce di anticonformista alla ricerca continua di una verità che tale rimanga nell’arte, nella politica e nei rapporti umani, non è impresa da poco. E a compierla non basta l’occasione di una ricorrenza – a novembre il trentennale della morte- né l’esegèsi della produzione multiforme, dello stile, della poetica e della sua politica. Per scegliere e non isolare serve, piuttosto, un ‘affetto piu’ grande di qualsiasi amore’ per le parole e per il valore della disomogeneità intellettuale e culturale verso un pensiero borghese.
Su questo solco si sono mossi il poeta e traduttore Lucilio Santoni e l’attore Pier Giorgio Cini’, per compilare il programma del terzo appuntamento della rassegna ‘Teatro e Parola’ portato in scena sul palco del teatro dell’Arancio sabato 22 gennaio dallo stesso Pier Giorgio Cini’e dal musicista Pierpaolo Marini. E che, da un verso della raccolta ‘Trasumanar e organizzar’ del 1971, si intitola appunto «Un affetto piu’ grande di qualsiasi amore».
«I veri lettori di questo libro –scriveva Pasolini nella fascetta di copertina della 1–edizione, nell'aprile del 1971- sono coloro che gli possono conferire una certa oggettività attraverso un interesse professionale. […] Tuttavia, per quanto privo di illusioni, continuo sempre a credere nell'esistenza almeno ideale di un lettore ingenuo, disposto a prendere come fatti obbiettivi e di consumo non ignobile, anche le cose più intime, stravaganti e personali».
«Il percorso dello spettacolo è poetico. E’ infatti nel testo poetico - dice Santoni- che Pasolini ha sintetizzato idee e visione del mondo. E poi Grottammare si sta caratterizzando per un teatro sì di parola ma soprattutto di poesia». Per Santoni, Pasolini è stato ‘l’ultimo dei consumisti’: «nel senso che –spiega- lui sapeva essere vero consumatore, di cose e di corpi. Noi, invece, non siamo consumisti, non sappiamo farlo, siamo semplicemente consumati, dalla merce, dalle immagini, dai nuovi miti. La sua era espressione del selvaggio dolore di vivere. La nostra del disagio ottuso da dipendenza».
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